mercoledì 7 aprile 2010

2006 – Sandro Veronesi – Caos Calmo

- Là! - dico.
Abbiamo appena fatto surf, io e Carlo. Surf: come vent'anni fa. Ci siamo fatti prestare le tavole da due pischelli e ci siamo buttati tra le onde alte, lunghe, così insolite nel Tirreno che ha bagnato tutta la nostra vita. Carlo più aggressivo e spericolato, ululante, tatuato, obsoleto, col capello lungo al vento e l'orecchino che sbrilluccicava al sole; io più prudente e stilista, più diligente e controllato, più mimetizzato, come sempre.

2005 – Maurizio Maggiani – Il viaggiatore notturno

Ascoltate, è ancora il tramonto sul colle dell'Assekrem. Giallo, ocra, azzurro, oltremare, carminio. Cielo, terra, montagne e valli. Tutto. Ma giù nelle gole c'è già il crepuscolo e la notte. Rosa, terra bruciata, viola, nero. Il nulla laggiù.

2004 – Ugo Riccarelli – Il dolore perfetto

Appena qualche attimo prima di morire, appoggiata al nocciòlo del giardino, l'Annina emerse dall'ombra in cui la sua mente si era nascosta da molti anni e, all'improvviso, in quei brevi istanti che la morte ancora le concesse, come se fosse in volo rivide la casa col pino e la Mena che pregava appoggiata a un angolo della madia, e di fronte alla Mena vide sua madre partorirla urlando di un dolore che le sembrò perfetto, e solo alla fine, quasi spiando, scorse la propria testa uscire da quel corpo rosso e gonfio dallo sforzo, e sentì per l'ultima volta l'odore di viole del suo fratello gemello che da dentro la pancia la spingeva nel mondo.

2003 – Melania G. Mazzucco – Vita

Questo luogo non è più un luogo, questo paesaggio non è più un paesaggio. Non c'è più un filo d'erba, non una spiga, un arbusto, una siepe di fichi d'India. Il capitano cerca con lo sguardo i limoni e gli aranci di cui gli parlava Vita - ma non vede neanche un albero. Tutto è bruciato. Incespica di continuo nelle buche delle granate, lo avviluppano cespugli di filo spinato. Ecco, qui dovrebbe esserci il pozzo - ma i pozzi sono avvelenati da quando ci hanno gettato dentro i cadaveri dei fucilieri scozzesi, caduti durante il primo assalto alla collina. O forse erano i tedeschi. O i civili. C'è odore di cenere, di petrolio, di morte.

2002 – Margaret Mazzantini – Non ti muovere

Non hai rispettato lo stop. Sei passata in volata con la tua giacca di finto lupo, gli auricolari del walkman pressati nelle orecchie. Aveva appena piovuto, e presto sarebbe tornato a piovere. Oltre le ultime fronde dei platani, oltre le antenne, gli storni affollavano la luce cinerea, folate di piume e garriti, chiazze nere che oscillavano, si sfioravano senza ferirsi, poi si aprivano, si sperdevano, prima di tornare a serrarsi in un altro volo.

2002 – Ermanno Rea – La dismissione

"L'espressione malinconica dei tuoi occhi, la tua aria tra rassegnata e distratta, i tuoi gesti molli... ecco un buon punto di partenza. Che cosa c'è dentro di te in questo inizio avanzato di millennio?" Bella domanda per cominciare un libro. Una grande desolata radura, che cos'altro potrebbe esserci? Quanto ai miei "immediati dintorni" (strano modo di alludere a mia moglie Rosaria), hai fatto bene a tirarli in ballo tra le prime quattro domande che mi hai sottoposto, "tanto per entrare in argomento".

2001 – Domenico Starnone – Via Gemito

Quando mio padre mi disse di aver picchiato mia madre una volta sola durante i ventitré anni del loro matrimonio, nemmeno gli risposi. Era parecchio che non obiettavo più niente ai suoi racconti pieni di avvenimenti, date e dettagli tutti inventati. Da ragazzo lo consideravo un bugiardo e mi vergognavo come se le sue bugie mi appartenessero. Ora, da grande, mi sembrava che non mentisse affatto. Credeva che le sue parole fossero in grado di rifare i fatti secondo i desideri o i rimorsi. Qualche giorno dopo, però, quella sua puntigliosa precisazione mi ritornò in mente.

2000 – Ernesto Ferrero – N.

Stava seduto al tavolo dello studiolo, di traverso. Sprimacciava con irritazione le carte che il generale Drouot gli aveva passato, il budget del 1815, come se tra quelle si fosse nascosto uno scarabeo o un cerambice, entrato per caso dalla finestra in cerca di tepore. S'è lamentato tra i denti che il costo delle divise era eccessivo. Controllava che il totale delle singole voci fosse giusto, perché non si fidava nemmeno di Drouot. Non si fidava di nessuno.

1999 – Giuseppe Montesano – Nel corpo di Napoli

Eravamo arrivati a una questione secondo noi fondamentale, e ci stavamo chiedendo se la verità faceva bene alla vita o se invece la vita era fondata sulla menzogna, quando la porta della stanza di Landrò si aprì sbattendo sul muro, e entrò un uomo basso e rotondo, con i capelli bianchi e un elegante vestito blu.

1999 – Dacia Maraini – Buio


Il padre l'ha chiamato Grammofono. è piccolo per la sua età. Ha le orecchie a sventola e una faccia tutta punte con due occhi accesi e mobili.
Grammofono, detto Gram, compie fra pochi giorni sette anni. Quando cammina, saltella. Quando ride, si piega in due perché ridere gli fa venire mal di pancia. Soffre di una rinite cronica e ogni tanto il naso prende a colargli irrefrenabilmente.

1998 – Enzo Siciliano – I bei momenti

Aprile. Ha nevicato sulla cima della collina. Qui pioveva: i fiocchi si scioglievano in aria invece che a terra. è molto più freddo che a gennaio. Amadé stamattina, prima di partire per Berlino, non usciva dalle coperte, chiedeva carta da musica: si preoccupava di ultimare una contraddanza. Non ha fatto nulla. Si fermerà a Praga: è felice.

1997 – Eraldo Affinati – Campo del sangue

Tornerò da Auschwitz ritrovando, ancora una volta, la condizione spirituale che riconosco mia: quella del reduce. L'azione chimica sulle ossa dei morti altera il fascino sonnolento dei cinquant'anni di pace: se hai l'impressione di essere nato a una distanza di sicurezza rispetto allo sterminio, come puoi non considerare te stesso un sopravvissuto?

1997 – Claudio Magris – Microcosmi


Le maschere stanno in alto, sopra il bancone di legno nero intarsiato, che proviene dalla rinomata falegnameria Cante - rinomata almeno un tempo, ma al Caffè San Marco le insegne onorate e la fama durano un po' di più; anche quella di chi, quale unico titolo per essere ricordato, può accampare soltanto - ma non è poco – il fatto di aver passato degli anni a quei tavolini di marmo dalla gamba di ghisa, che finisce in un piedestallo poggiato su zampe di leone, e di aver detto ogni tanto la sua sulla giusta pressione della birra e sull'universo.

1996 – Alessandro Barbero – Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo

L'anno 1848 finirà presto. Le foglie degli aceri sono morte, e il vento che le spazza via odora già di neve. Ho settantotto anni, che sono una bella età anche in questo secolo di progresso, e credo che anch'io finirò presto. Può darsi che l'elettricità, il vapore e la strada ferrata permettano un giorno agli uomini di vivere più a lungo, ma mi sembra più probabile il contrario, nonostante le chiacchiere dei giornalisti; ad ogni modo, io non lo saprò mai. La gotta ha preso possesso del mio piede sinistro, e sta scavandosi la via verso l'alto, sicché un giorno o l'altro arriverà a bussare al cuore; non lo rimpiango, perché penso a tutto il roast-beef che ho mangiato, a tutto il Bordeaux che ho bevuto, e credo che ne sia valsa la pena, ma non posso nascondermi che sarò fortunato se arriverò a vedere un altro autunno.

1995 – Maria Teresa di Lascia – Passaggio in Ombra

Nella casa dove sono rimasta, dopo che tutti se ne sono andati e finalmente si è fatto silenzio, mi trascino pigra e impolverata con i miei vecchi vestiti addosso, e le scatole arrampicate sui muri scoppiano di pezze prese nei mercatini sudati del venerdì. Ormai sono libera di non perderne neanche uno, e ho tutta la mattina per stare in mezzo alle baracche a rovistare a piene mani, fra stoffe colorate e sporche che qualcuno, per sempre sconosciuto, ha indossato tempo fa.

1994 – Giorgio Montefoschi – La casa del padre

Ogni volta che ripenso a quel periodo della vita, ho il cuore in subbuglio. Avevo vent'anni: ero apprensivo, nostalgico, disponibile a credere in un evento che, presto, sarebbe accaduto. Così, quando decidemmo di tornare nel nostro vecchio quartiere - le strade tra piazza delle Muse e piazza Ungheria - coltivai una speranza. Lasciavamo, infatti, luoghi che avevo amato, e dove molte cose erano successe: via Tacito, il Tevere, piazza della Libertà; ma tornavamo in altri che avevo amato ancor di più: per giunta, nella casa in cui avevo trascorso l'infanzia.

1993 Domenico Rea Ninfa Plebea

Il carro si fermò davanti al basso da cui fu lanciata la scaletta per far salire Nunziata, Miluzza, la figlioletta di tredici anni, Nannina, la capera, e un caporal maggiore, molto religioso, che aveva avuto il permesso dal comando militare di partecipare alla festa della notte del 14-agosto dedicata alla madonna di Mater Domini.

1992 – Vincenzo Consolo – Nottetempo, casa per casa

E la chiarìa scialba all'oriente, di là di Sant'Oliva e della Ferla, dall'imo sconfinato della terra sorgeva nel vasto cielo, si spandeva - ogni astro, ogni tempo rinasce alle scadenze, agli effimeri, ai perenti si negano i ritorni, siamo figli del Crudele, pazienza.

1992 – Elena Ferrante – L’amore molesto

Mia madre annegò la notte del 23-maggio, giorno del mio compleanno, nel tratto di mare di fronte alla località che chiamano Spaccavento, a pochi chilometri da Minturno. Proprio in quella zona, alla fine degli anni Cinquanta, quando mio padre viveva ancora con noi, d'estate affittavamo una stanza in una casa contadina e trascorrevamo il mese di luglio dormendo in cinque dentro pochi roventi metri quadri.

1991 – Susanna Tamaro – Per voce sola

Caro diario, di nuovo lunedì. Oggi è la prima vera giornata d'autunno: c'è vento e le foglie, finalmente gialle, volteggiano in aria. Per il calendario sarebbe già dovuto iniziare da molto ma con questi buchi nell'atmosfera, ormai, non si può più essere certi di niente, neanche della regolarità delle stagioni. Chissà come sarà il futuro!? Ogni tanto me lo chiedo.

1991 – Paolo Volponi – La strada per Roma

L'uva esposta nella vetrina del negozietto della Pennabianca, il piú povero di Urbino, era già appassita e da qualche giorno abbandonata anche dalle vespe. Ormai per la strada di Santa Lucia veniva una tramontana bagnata, con un'ala salina sopra i tetti e i cornicioni, che rinfrescava la luce vecchia e ammorbidiva la polvere lasciata dall'estate.

1990 – Sebastiano Vassalli – La chimera

Nella notte tra il 16-e-il-17-gennaio-1590, giorno di Sant'Antonio abate, mani ignote deposero sul torno cioè sulla grande ruota in legno che si trovava all'ingresso della Casa di Carità di San Michele fuori le mura, a Novara, un neonato di sesso femminile, scuro di occhi, di pelle e di capelli: per i gusti dell’epoca, quasi un mostro.

1989 – Salvatore Mannuzzu – Procedura

Stamattina sono ripassato per viale Caprera. Credo sia stata l'ultima volta. I tigli profumavano ormai verdi e fioriti contro il cielo nuvolo; e da altoparlanti di lontane automobili arrivavano gli annunci degli ultimi comizi: finisce anche la campagna elettorale. Come sempre il traffico era poco, e in quel silenzio il viale scendeva stretto tra ville e palazzine vecchie di almeno cinquant'anni, verso il mare distante: cambiavano l'illuminazione stradale, operai issavano lampioni al neon, in luogo degli altri che, ancora sospesi, e accesi non so per quale prova, oscillavano alle raffiche crescenti: il libeccio girava in maestro.

1989 – Roberto Calasso – Le nozze di Cadmo e Armonia

Sulla spiaggia di Sidone un toro tentava di imitare un gorgheggio amoroso. Era Zeus. Fu scosso da un brivido, come quando i tafani lo pungevano. Ma questa volta un brivido dolce. Eros gli stava mettendo sulla groppa la fanciulla Europa. Poi la bestia bianca si gettò in acqua, e il suo corpo imponente ne emergeva abbastanza perché la fanciulla non si bagnasse.

1989 – Giuseppe Pontiggia – La grande sera

Dopo avere atteso altri dieci minuti sdraiata sul letto, lo sguardo al soffitto inclinato, le mani sulla coperta, attenta a qualunque rumore salisse dalle scale, cominciò ad avere paura.

1989 – Clara Sereni – Manicomio primavera

Potrebbe essere un episodio, una parentesi, un'avventura: a questo si erano preparati, prevedendo una cornice intessuta di fiori, gentilezze, sorrisi lievi come carezze e carezze intenzionali. Lei sui polsi ha spruzzato profumo, la barba di lui appare fresca di rasatura. Per piacere e piacersi, aperti ad ogni eventualità.

1988 – Gesualdo Bufalino – Le menzogne della notte

Mangiarono pochissimo o niente. Le portate, sebbene più ricche dell'ordinario, per come s'era ingegnato di condirle un secondino volenteroso, avevano un sapore nemico, né v'era boccone che in gola non diventasse una cenere. L'inappetenza, si sa, è d'obbligo nelle serate d'addio. Per cui, essendo l'esecuzione fissata ai primi barlumi dell'indomani, il barone non finiva di accalorarsi per questa ipocrisia di concedere ai condannati inutili ghiottonerie, mentre non s'aveva scrupolo di attossicargliele col pensiero della scadenza imminente.

1987 – Stanislao Nievo – Le Isole del Paradiso

Su un'isola dei mari del sud a 5° dall'equatore, tra gli alberi d'una foresta splendida che cade a precipizio sul mare, un fiume talmente breve da non aver nome esplode in una grande cascata. Sono decine di salti scintillanti d'acqua lanciata a illuminare il verde di vasche d'argento.

1987 – Claudio Magris – Danubio

"Carissimo!
L'assessore di Venezia, sig. Maurizio Cecconi, sulla base del progetto allegato ci ha avanzato la proposta di organizzare una mostra sul tema "L'architettura del viaggio: storia ed utopia degli alberghi". La sede prevista è Venezia. Del finanziamento si interesserebbero diverse istituzioni ed organizzazioni. Se Lei vorrà dimostrare interesse per una collaborazione…”

1986 – Marta Morazzoni – La ragazza con turbante

Riposero le carte e si alzarono, lasciando i calici vuoti e opachi sulla tavola, la serata finiva alla solita ora e il maestro, già in piedi e con gli occhi lucidi per il vino, li guidava verso la porta.
" Domani sera riprenderemo. E non mancherete nemmeno voi, Karl, non vogliamo sentire nulla dei vostri impegni. "

1986 – Maria Bellonci – Rinascimento privato

Il mio segreto è una memoria che agisce a volte per terribilità. Isolata, immobile, sul punto di scattare, sto al centro di correnti vorticose che girano a spirali in questa stanza dove i miei cento orologi sgranano battiti diversi in diversi timbri. Se alzo il capo li vedo fiammeggiare, e ad ogni tocco di fuoco corrisponde un'immagine.

1985 – Carlo Sgorlon – L’armata dei fiumi perduti

Dopo i fatti di luglio parve a Marta che ogni cosa fosse per cambiare e che la fine della guerra stesse ormai a portata di mano. Ogni giorno si chiedeva perché i nuovi governanti non si decidessero a firmare la pace, dal momento che non restava altro da fare, e proprio per questo il governo precedente era stato abbattuto.

1984 – Pietro Citati – Tolstoj

Il primo gesto nel quale sorprendiamo Tolstoj adolescente è quello di guardarsi allo specchio. è in piedi, davanti al vetro impenetrabile, dove abita " l'impossibile spazio dei riflessi ": contempla i suoi freddi occhi azzurri, le sopracciglia folte, i mustacchi che gli ombreggiano la bocca, i lineamenti senza grazia che ricordano più quelli di un pop o di un contadino che di un aristocratico: o sta seduto davanti a quell'altro specchio, che è il suo diario; e con immenso piacere continua a considerare il suo volto, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, tutto quanto l'abisso enigmatico e pauroso dell'animo invia alla superficie. Nessun uomo, forse, ha mai conosciuto una così vertiginosa ubriachezza del proprio io.

1983 – Mario Pomilio – Il Natale del 1833

La parola sventura non è certo inusitata nel linguaggio del Manzoni: la si trova già nel Carmagnola, negl'Inni sacri, nell'Adelchi. Eppure colpisce come se glie l'udissimo usare per la prima volta a incontrarla in una lettera del 19-febbraio-1834, la sola dov'egli parli della scomparsa della prima moglie, Enrichetta Blondel, mortagli giusto il giorno del Natale 1833, e l'unica forse di tutto il suo epistolario in cui egli acconsenta a lasciarci intravedere qualcosa dei propri intimi affetti, e sia pure per un breve istante e come da dietro un'inferriata: " Mi pareva che dal sentimento dell'amore fosse agevole immaginare il sentimento della perdita; ma veggo ora che la sventura è una rivelazione tanto più nuova quanto è più grave e terribile ".

1982 – Goffredo Parise – Sillabario n. 2

Un giorno di grande caldo del 1944 un gruppo di ragazzi sguazzava in un canale di campagna vicino a Padova. La campagna era piatta e gialla di paglia per il frumento appena tagliato, non c'erano alberi ma il canto delle cicale era fortissimo, l'acqua del canale era poco profonda e scorreva tra le alghe e un fondo giallo di fanghiglia con qualche rana.

1982 – Andrea De Carlo – Uccelli da gabbia e da voliera

Alle tre di pomeriggio sto guidando la mia MG bianca lungo Goldfinch Avenue verso le colline, con una cassetta dei Rolling Stones a tutto volume sullo stereo, e salto uno stop senza accorgermene. Vedo una Chevette verde chiaro che mi arriva da destra, scivola verso me come un piccolo cetaceo sott'onda. Non cerco di frenare, o di girare il volante, o.

1981 – Umberto Eco – Il nome della rosa

In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio e compito del monaco fedele sarebbe ripetere ogni giorno con salmodiante umiltà l'unico immodificabile evento di cui si possa asserire l'incontrovertibile verità. Ma videmus nunc per speculum et in aenigmate e la verità, prima che faccia a faccia, si manifesta a tratti (ahi, quanto illeggibili) nell'errore del mondo, così che dobbiamo compitarne i fedeli segnacoli, anche là dove ci appaiono oscuri e quasi intessuti di una volontà del tutto intesa al male.

1980 – Vittorio Gorresio – La vita ingenua

Madonna dell'Olmo è un santuario - Così io salgo dopo un mezzo secolo - Era il balcone della nostra camera - Papà era bello, alto - Dalla caserma venivamo alla premiata confetteria - Mi ricordo i discorsi - Credo che la vigilia dell'intervento - Quando la guerra poi fu dichiarata - Forse anche la storia di questa mia piccola bugia.

Madonna dell'Olmo è un santuario nei pressi del lungo viadotto che conduce all'altopiano di Cuneo. è di graziose proporzioni, e nei vecchi dipinti è rappresentato a bei colori, tra il bianco panna della facciata, il rosso mattone di un tratto del campanile e il grigio cupo di due cuspidi sormontate da croci e banderuole di latta. L'olmo figurava davanti, a destra di chi guarda, ed era menzionato nella scritta latina Nostra Domina de Urmo, con accanto la data della fondazione (1445).

1980 – Francesca Sanvitale – Madre e figlia

Non so perché come luogo fermo del cuore ho inventato questo portone aperto, le colonne laterali corinzie nere dai secoli, l'arco barocco, la bassa cancellata interna. Nell'arco ho dipinto in grigio vasi e piante. Mia madre è luminosa in questa penombra. Cammina nel fondo dell'androne verso la strada, supera l'arco, si ferma, torna minuscola nel cortile, viene avanti.

1979 – Primo Levi – La chiave a stella

"Eh no: tutto non le posso dire. O che le dico il paese, o che le racconto il fatto: io però, se fossi in lei, sceglierei il fatto, perché è un bel fatto. Lei poi, se proprio lo vuole raccontare. ci lavora sopra, lo rettifica, lo smeriglia, toglie le bavature, gli dà un po' di bombè e tira fuori una storia; e di storie, ben che sono più giovane di lei, me ne sono capitate diverse. Il paese magari lo indovina, così non ci rimette niente; ma se glielo dico io, il paese, finisce che vado nelle grane, perché quelli sono brava gente ma un po' permalosa".

1978 – Ferdinando Camon – Un altare per la madre

Davanti alla chiesa si era formata una piccola folla, ragazzi, donne e uomini di tutte le età, che si andavano raggruppando secondo i gradi di parentela o secondo il caso: bastava che uno dicesse una parola e un altro rispondesse perché tra loro due si facessero compagnia. Io mi sono ritrovato solo e ultimo.

1978 – Carmelo Samonà – Fratelli

Vivo, ormai sono anni, in un vecchio appartamento nel cuore della città, con un fratello ammalato. Nessun altro abita con noi, e le visite si fanno rare. Ultimi rimasti di una famiglia che fu numerosa al tempo della mia giovinezza, ci muoviamo, ora, in una complicata gerarchia di silenzi. L'altezza dell'appartamento sulla città, che si stende invisibile ai nostri piedi, la vastità delle terrazze adiacenti (alle quali non abbiamo accesso, ma che scorgiamo da ogni parte, al nostro livello, guardando dalle finestre) ci assicurano una quiete raccolta e un po' falsa.

1977 – Fulvio Tomizza – La miglior vita

La mano mi trema come in quel lontano mattino di Pasqua, quando mio padre occupato con le due messe e la benedizione delle uova mandò me, sui dodici anni, a versare l'acquasanta nei quattro cantoni della parrocchia per preservarla dalla grandine estiva. Nella boccetta dell'acqua, battezzata il giorno avanti nella tinozza ai piedi del fonte, aveva aggiunto una lacrima del cero pasquale, un pezzetto di ostia rimasta pane in sagrestia, un filo d'oro strappato al piviale e uno d'argento caduto dalla pineta.

1976 – Fausta Cialente – Le quattro ragazze Wieselberg

Le sere in cui l'orchestra veniva a suonare in casa la famiglia doveva cenare assai più presto del solito perché la signora e le ragazze, aiutate dalle due domestiche, avessero il tempo sufficiente per sbarazzare la tavola della sala da pranzo e riporre ogni cosa, la grande porta a vetri che la separava dall'entrata dovendo rimanere aperta. Bisognava tenere ben chiusi, invece, tutti gli usci verso la cucina e i "servizi" giacché il padre non voleva sentire durante l'esecuzione - ch'era più che altro una "prova" - gli strepiti delle rigovernature e le chiacchiere, le ciàcole, anzi, delle serve.

1975 – Tommaso Landolfi – A caso

- Che cosa hai fatto?
- Dove, quando?
- Sii serio: nella vita.
Tante cose.
- E per esempio?
- Amato, giocato, bestemmiato, letto, perfino scritto.
- E ucciso?
- No, mai.
- Perché?

1974 – Gugliemo Petroni – La morte del fiume

Avvicinandosi ai luoghi che ricordava, le immagini erano luminose e gli impedivano di pensare con ordine; c'era poi insieme un certo fastidio, o magari addirittura una notevole diffidenza nell'attesa impaziente. Per ora poteva aiutarsi soltanto con ciò che proveniva dal ricordo, giacché quello che aveva attorno, ciò che aveva trovato uscendo dalla porta della città, non somigliava a nulla di quanto balenava nella sua mente tornando dalla ben lontana fanciullezza.

1974 – Achille Campanile – Gli asparagi e l’immortalità dell’anima

La bella Angelica Ribaudi, coi biondi capelli in disordine e le fresche gote di diciottenne arrossate, affannando per aver fatto le scale a quattro a quattro, si fermò un attimo sul pianerottolo per calmarsi; indi mise pian pianino la chiave nella serratura, girò delicatamente, spinse la porta senza far rumore e scivolò in casa come una ladra.

1973 – Manlio Cancogni – Allegri, gioventù


Il temporale di fine estate, quest'anno, nella valle, è venuto con ritardo; non per ferragosto, come di consueto: a metà settembre. E ha lasciato il segno. Cominciò dopo la mezzanotte quando erano già tutti a letto.

1972 – Giuseppe Dessì – Paese d’ombre

Il bambino bussò al cancelletto di legno, ch'era in tutto simile a quello della casa di sua madre nel vicolo del Carrubo, e aspettò in silenzio; dopo un poco la voce potente e rauca di Don Francesco Fulgheri si fece udire dall'interno della casa: "Chi è?".
"Sono io!" strillò Angelo con la sua vocetta, la sua voce da chierichetto, come diceva Don Francesco per farlo arrabbiare. Senza attendere oltre, il ragazzo spinse il cancello, che si aprì con un lungo gemito.

1971 – Raffaello Brignetti – La spiaggia d’oro

Il primo fu un giorno forte e armonioso. La goletta andava, vele a dritta. Filava, il maestrale la inclinava: lo scafo si risollevava e intanto aveva corso una parte; tornava, sotto il vento, basso sulla destra, risaliva, percorreva un'altra misura. Per un poco la schiuma era stata quasi pari al bordo; poi il bordo era tornato alto e la schiuma rotta, spersa nella scia e in questa subito cancellata, richiudendosi il mare.

1970 – Guido Piovere – Le stelle fredde

Il medico mi chiese: "Peggio dal destro o dal sinistro?"
"Non saprei fare distinzioni tra un orecchio e l'altro."
"Quando te ne sei reso conto?"
"Da poco, ma mi sono accorto che durava da un
pezzo. L'hanno notato gli altri prima di me."

1969 – Piero Chiara – L’uovo al cianuro e altre storie

Verso le undici del mattino, dopo aver vagato per le camerate in cerca degli ultimi compagni da salutare, andai senza fretta nel corridoio della direzione a leggere i risultati degli scrutinî. Il voto più alto che avevo riportato era un cinque.

1969 – Lalla Romano – Le parole tra noi leggere

Io gli giro intorno: con circospezione, con impazienza, con rabbia. Adesso, gli giro intorno; un tempo invece lo assalivo. Ma anche adesso ogni tanto - raramente - sbotto. Allora lui mi guarda con la sua famosa calma e dice: - Tu mi manchi di rispetto! La mia collera di ora dev'essere un residuo delle antiche battaglie, quando io reagivo come se lui fosse una parte di me che tradiva se stessa e dunque mi tradiva. Ai miei assalti e assedi ormai più che altro ammirativi, lui oppone freddezza, noia e perfino gentilezza (distratta). Ma soprattutto io non rinunzio a tentare di conoscerlo, discorsivamente voglio dire.

1968 – Alberto Bevilacqua – L’occhio del gatto

Ho sempre creduto nell'ironia. Questa allegra fame di ciò che agli uomini appartiene e di cui gli uomini non si accorgono, è stata da sempre nella mia coscienza delle cose. Anche la storia che seguirà credo ne sia una prova. Essa ha per me il significato di una bellissima beffa - la migliore che mi sia mai riuscita - nei confronti di due esseri umani nei quali vedevo zoppicare il mondo.

1967 – Goliarda Sapienza – Lettera aperta

Non è per importunarvi con una nuova storia né per fare esercizio di calligrafia, come ho fatto anch'io per lungo tempo; né per bisogno di verità - non mi interessa affatto, - che mi decido a parlarvi di quello che non avendo capito mi pesa da quarant'anni sulle spalle.

1967 – Anna Maria Ortese – Poveri e semplici

I più bei giorni della mia vita cominciarono in questa città i primi di novembre. Sono trascorsi da quella data vari anni, e con essi è trascorsa la mia breve giovinezza e la sua felicità. Oggi, mentre scrivo, è ancora novembre, ancora io vivo in questa città, e in essa nulla è così radicalmente mutato che non si potrebbe, volendo, riconoscerle l'aspetto di allora; ma sono mutati gli uomini e le cose, e le vicende, se pure a volte in tutto simili a quelle di un tempo, non ne hanno certo lo stesso carattere.

1966 – Michele Prisco – Una spirale di nebbia

Il fatto era questo: che gli uomini riuniti per quel sopralluogo, poco meno d'una decina, avevano tutti le facce giallastre, lui compreso magari. Non pallide, propriamente, piuttosto soffuse da un cereo madore che forse derivava solo da un giuoco di luce: come se la loro pelle, si trovò più tardi a pensare nel tentativo di spiegarsi questa curiosa impressione, si stesse a poco a poco impregnando di tutto il livido scolorito chiarore di quella mattinata sospeso per aria come una specie di fosforescenza.

1966 – Luigi Malerba – Il serpente

C'era una guerra in Africa. I soldati attraversavano la città con le divise di tela massaua e le teste di sughero, la testa imbottita di sughero, i caschi di sughero sulla testa. Cantavano quella canzone là che tutti sanno, marciando sulla strada Garibaldi verso la Stazione delle Ferrovie. Che cosa fanno? Dove vanno? Che cosa vanno a fare?

1965 – Paolo Volponi – La macchina mondiale

Il mio pensiero e la mia materia, le lacerazioni che si producono all'interno, nel tracciato della mia macchina e nell'accensione dei diversi commutatori, mi tengono anche vicino alle cose e ai fatti che camminano intorno a me, nella mia casa e nella mia campagna e in questo pezzo di terra marchigiana dalla parte dell'Appennino, che viene chiamato la parrocchia di San Savino.

1965 – Goffredo Parise – Il padrone

Questo è il mio primo giorno nella grande città dove ho trovato lavoro. Non posso negare di essere un poco emozionato, da oggi l amia vita muta radicalmente: fino a ieri ero un ragazzo di provincia,
senza nulla in mano, che viveva alle spalle dei genitori. Oggi, invece, sono un uomo che ha trovato lavoro e che d'ora in poi provvederà a se stesso, non solo, ma già comincia a pensare a una famiglia propria e, quando sarà il momento, ad aiutare anche voi, cari genitori.

1964 – Giovanni Arpino – L’ombra delle colline

Sapevo di sognare.

La salita era ripida, il sentiero appena tracciato tra le erbe andava su con brusche curve, ogni tanto rabbuiandosi tra le acacie che si sporgevano a grappoli, a ombrello. Tutto pareva felice intorno, in un ordine e silenzio assoluti.

1963 – Primo Levi – La Tregua

Il disgelo

Nei primi giorni del gennaio-1945, sotto la spinta dell'Armata Rossa ormai vicina, i tedeschi avevano evacuato in tutta fretta il bacino minerario slesiano. Mentre altrove, in analoghe condizioni, non avevano esitato a distruggere col fuoco o con le armi i Lager insieme con i loro occupanti, nel distretto di Auschwitz agirono diversamente: ordini superiori (a quanto pare dettati personalmente da Hitler) imponevano di " recuperare ", a qualunque costo, ogni uomo abile al lavoro.

1963 – Natalie Ginzburg – Lessico famigliare

Nella mia casa paterna, quand'ero ragazzina, a tavola, se io o i miei fratelli rovesciavamo il bicchiere sulla tovaglia, o lasciavamo cadere un coltello, la voce di mio padre tuonava: - Non fate malagrazie!

1962 – Mario Tobino – Il clandestino

C'è una piazza a Medusa che da tutti vien chiamata Piazza Grande, anche se possiede un altro nome. è a forma di un quadrato; antichi platani si ergono lungo i suoi lati.

1962 – Lucio Mastronardi – Il maestro di Vigevano

Sono un maestro elementare e ho famiglia. Ho moglie e figlio, e il mio guadagno è sufficiente per arrivare alla fine del mese. Ada, mia moglie, mi ripete spesso: - Lasciami andare a lavorare!

1961 - Raffaele La Capria - Ferito a morte

La spigola, quell'ombra grigia profilata nell'azzurro, avanza verso di lui e pare immobile, sospesa, come un reattore quando lo vedi sbucare ancora silenzioso nel cerchio tranquillo del mattino.

1961 - Leonardo Sciascia - Il giorno della civetta

L'autobus stava per partire, rombava sordo con improvvisi raschi e singulti. La piazza era silenziosa nel grigio dell'alba, sfilacce di nebbia ai campanili della Matrice: solo il rombo dell'autobus e la voce del venditore di panelle, panelle calde panelle, implorante ed ironica.

1960 – Carlo Cassola – La ragazza di Bube

Mara sbadigliò. Era una bella noia essere costretta a stare in casa per colpa del fratello! Le venne in mente che avrebbe potuto lo stesso andarsene fuori: Vinicio si sarebbe messo a strillare, e poi la sera lo avrebbe raccontato alla madre; ma lei avrebbe potuto sempre dire che non era vero. E, dopo, gliele avrebbe anche date, a Vinicio. Le piacque talmente l'idea che le venne una gran voglia di farlo. Ma poi indugiò a guardarsi nello specchio ovale del cassettone.

1960 – Alberto Arbasino – L’Anonimo Lombardo

Caro Emilio,
riceverai separatamente i dati richiesti sulla Scala, le cifre sulla ricostruzione e sul funzionamento, i contratti, le prove, i metri di tessuto, il pubblico pagante, gli spettacoli; e d'altra parte un elenco di pubblicazioni e periodici che si sono occupati di fare del colore e descrivere tutto quel che si può. Di queste robe non ti anticipo niente, e mando addirittura in altra busta il materiale, perché non voglio darti l'impressione, con una simile prosa - se non da codice civile, almeno da ufficio stampa – di tentare un esordio "frastornato" come quel prologo della Fille aux yeux d'or che mescola i dati realistici alla effusione poetica; per ora a questa storia che sento il bisogno di raccontarti non riesco se non a dare una intonazione forse tendenziosa di racconto "à sensation" invece dell'autobiografia "reticente"che prediligi (e fai bene).

1959 – Pier Paolo Pasolini – Una vita violenta

Tommaso, Lello, il Zucabbo e gli altri ragazzini che abitavano nel villaggetto di baracche sulla Via dei Monti di Pietralata, come sempre dopo mangiato, arrivarono davanti alla scuola almeno una mezzoretta prima. Lì intorno c'erano già però pure altri pipelletti della borgata, che giocavano sulla fanga col coltellino.

1959 – Ottiero Ottieri – Donnarumma all’assalto

Sono entrato per la prima volta, all'improvviso, nel laboratorio psicotecnico. C'erano i candidati, seduti ai banchi, e hanno alzato il capo dai fogli dei test per osservarmi. Eccone un altro, pensavano, il nuovo, l'ultimo venuto. Che tipo è? Porta bene o male? Lo sanno che il nuovo impiegato arriva sul loro destino. Una luce forte fluiva dalle due pareti di vetro, d'angolo, ma subito mi sono tolto gli occhiali neri; tuttavia mi sono comportato freddamente, da funzionario indecifrabile senza guardare in faccia nessuno. Infatti non ho veduto nessuno.

1959 – Giuseppe Tomasi di Lampedusa – Il gattopardo

"Nunc et in hora mortis nostrae. Amen." La recita quotidiana del Rosario era finita. Durante mezz'ora la voce pacata del Principe aveva ricordato i Misteri Gloriosi e Dolorosi; durante mezz'ora
altre voci, frammiste, avevano tessuto un brusio ondeggiante sul quale si erano distaccati i fiori d'oro di parole inconsuete: amore, verginità, morte; e durante quel brusio il salone rococò sembrava aver mutato aspetto; financo i pappagalli che spiegavano le ali iridate sulla seta del parato erano apparsi intimiditi; perfino la Maddalena, fra le due finestre, era sembrata una penitente anziché una bella biondona, svagata in chissà quali sogni, come la si vedeva sempre.

1959 – Giovanni Testori – Il ponte della Ghisolfa

"Gli ho mandato un biglietto e se non è diventato un vigliacco deve venire" l'aveva pensato cosí forte che gli sembrò d'averlo detto. Allora alzò il polsino della camicia e guardò l'orologio: la lancetta aveva passato le dieci. Era affondato nella sedia; i piedi chiusi nelle fibbie incrociate dei sandali gli uscivan da sotto il tavolo; la camicia aperta sul davanti fin all'inizio del ventre aveva due macchie di sudore che s'allargavano da una parte all'altra.

1958 - Dino Buzzati - Sessanta racconti

Partito ad esplorare il regno di mio padre, di giorno in giorno vado allontanandomi dalla città e le notizie che mi giungono si fanno sempre più rare. Ho cominciato il viaggio poco più che trentenne e piú di otto anni sono passati, esattamente otto anni, sei mesi e quindici giorni di ininterrotto cammino. Credevo, alla partenza, che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i confini del regno, invece ho continuato ad incontrare sempre nuove genti e paesi; e dovunque uomini che parlavano la mia stessa lingua, che dicevano di essere sudditi miei.

1957 – Elsa Morante – L’isola di Arturo

Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome. Avevo presto imparato (fu lui, mi sembra, il primo a informarmene), che Arturo è una stella : la luce piú rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale! E che inoltre questo nome fu portato pure da un re dell'antichità, comandante a una schiera di fedeli : i quali erano tutti eroi, come il loro re stesso, e dal loro re trattati alla pari, come fratelli.

1956 – Giorgio Bassani – Cinque storie ferraresi

Finché visse, Lida Mantovani ricordò sempre il breve periodo di tempo che aveva preceduto il parto. Ogni volta che ci ripensava, si commuoveva. Eppure, quei giorni non erano certo stati densi di avvenimenti e di sensazioni. Era vissuta per un mese distesa in un letto, in fondo a un corridoio. Da una finestra che dava nel giardino della Maternità, i suoi occhi si posavano sulle foglie lustre di una grande magnolia. Era aprile: ma faceva già caldo, e la finestra restava aperta tutto il giorno. Poi, verso la fine, aveva perduto interesse anche per le foglie nere, come unte, della magnolia.

venerdì 2 aprile 2010

1955 – Pier Paolo Pasolini – Ragazzi di vita

Era una caldissima giornata di luglio. Il Riccetto che doveva farsi la prima comunione e la cresima, s'era alzato già alle cinque; ma mentre scendeva giù per via Donna Olimpia coi calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca, piuttosto che un comunicando o un soldato di Gesù pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare.

1955 – Giovanni Comisso – Un gatto attraversa la strada

La luce era intensa sul mare calmo e i carrubi davano una breve ombra attorno al loro tronco. Nei pascoli divisi da muriccioli di pietre i buoi rossi stavano a terra e non brucavano l'erba arsa. Le cicale fremevano innumerevoli e invisibili accompagnando Leone che dal villaggio ritornava alla casermetta di Finanza dove abitava con suo padre.

1955 – Beppe Fenoglio – La malora

Pioveva su tutte le langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra. Era mancato nella notte di giovedì l'altro e lo seppellimmo domenica, tra le due messe. Fortuna che il mio padrone m'aveva anticipato tre marenghi, altrimenti in tutta casa nostra non c'era di che pagare i preti e la cassa e il pranzo ai parenti.

1954 – Mario Soldati – Le lettere da Capri

Passavo per via Margutta, un mattino di primavera, l'anno scorso. Andavo a un piccolo stabilimento di doppiaggio, che ha la sua sede in uno di quegli antichi cortili tra le pendici del Pincio e la via Margutta: improvvisi spazi tranquilli dentro l'agitata complicazione di muri scale ringhiere case e casette.

1953 – Silvio D’Arzo – Casa d’altri

All'improvviso dal sentiero dei pascoli, ma ancora molto lontano, arrivò l'abbaiare di un cane. Tutti alzammo la testa. E poi di due o di tre cani. E poi il rumore dei campanacci di bronzo. Chini attorno al saccone di foglie, al lume della candela, c'eravamo io, due o tre donne di casa, e più in là qualche vecchia del borgo.

1953 – Massimo Bontempelli – L’amante fedele

POSSEDEVO un'automobile: una sera da un luogo di villeggiatura accompagnai certa gente alla stazione della città piú vicina. Il treno era in ritardo, loro dicevano: "Vattene pure, si fa buio, fino a casa hai forse cento chilometri, ecc.". Ma io ho preferito aspettare, per andarmene poi traverso la notte piena, quando il creato si rifà semplice ed eterno.

1953 – Mario Rigoni Stern – Il sergente nella neve

Ho ancora nel naso l'odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don. Ho ancora negli occhi il quadrato di Cassiopea che mi stava sopra la testa tutte le notti e i pali di sostegno dei bunker che mi stavano sopra la testa di giorno.

1953 – Carlo Emilio Gadda – Novelle dal Ducato in fiamme

E c'era stato, anche, il processo per il secondo incaglio dell'incrociatore " San Giorgio ", specializzatosi in simil genere di esercitazioni nautiche. La prima volta fu nelle secche della Gaiòla, poco avanti la riva incantata di Posèlleco: era una luna meravigliosa, a Marechiare ci facevano l'amore pure li pesci.

1952 – Italo Calvino – Il visconte dimezzato

C'era una guerra contro i turchi. Il visconte Medardo di Terralba, mio zio, cavalcava per la pianura di Boemia diretto all'accampamento dei cristiani. Lo seguiva uno scudiero a nome Curzio. Le cicogne volavano basse, in bianchi stormi, traversando l'aria opaca e ferma.

1952 – Alberto Moravia – I racconti

Lentamente, chiudendo la porta con una spinta del dorso e guardando fisso all'amante, il giovane entrò nella stanza. Per la strada, la sua fantasia si era accanita con una specie di rabbiosa volontà a immaginare una Maria-Teresa carica di autunni, dai seni pesanti, dal ventre grasso tremolante sulle giunture allentate dell'inguine, dai fianchi impastati e disfatti; una Maria-Teresa, insomma, ormai giunta alla soglia della vecchiaia, che sarebbe stato agevole abbandonare ora che non aveva più denaro per mantenerla.